Carlos Drummond de Andrade
(1902-1985)
DA
LA ROSA DEL POPOLO
(A ROSA DO POVO) (1945)
RICERCA DELLA POESIA
Non fare versi sugli avvenimenti.
Non esiste creazione né morte di fronte alla poesia.
Davanti a lei, la vita é un sole statico,
non riscalda né illumina.
Le affinitá, gli avversari, i casi personali non contano.
Non fare poesia con il corpo,
questo eccellente, completo, confortevole corpo, così avverso all’effusione lirica.
La tua goccia di bile, la tua smorfia di godimento o di dolore nel buio
sono indifferenti.
Non mi rivelare i tuoi sentimenti,
che si valgono dell’equivoco e tentano il lungo viaggio.
Ciò che pensi e senti, questo non é ancora poesia.
Non cantare la tua città, lasciala in pace.
Il canto non é il movimento delle macchine né il segreto delle case.
Non é musica udita di passaggio; rumore del mare per le strade prossime alla battigia.
Il canto non é la natura
né gli uomini nella società.
Per esso, pioggia e notte, stanchezza e speranza non significano nulla.
La poesia (non estrarre poesia dalle cose)
elide soggetto e oggetto.
Non drammatizzare, non invocare,
non indagare. Non perdere tempo a mentire.
Non ti seccare.
Il tuo yacht d’avorio, la tua scarpa di diamante.
le vostre mazurche e illusioni, i vostri scheletri di famiglia
sparirono dietro la curva del tempo, sono qualcosa di inutile.
Non ricomporre
la tua sepolta e melancolica infanzia.
Non oscillare tra lo specchio e la
memoria in dissoluzione.
Ciò che si dissolse, non era poesia
Ciò che si frantumò, non era cristallo.
Penetra sordamente nel regno delle parole.
Sono là le poesie che aspettano di essere scritte.
Sono paralizzate, ma non c’é ansia,
c’è calma e fresco sulla superficie intatta.
Eccole sole e mute, allo stato di dizionario.
Convivi con le tue poesie, prima di scriverle.
Abbi pazienza se sono oscure. Calma, se ti provocano.
Aspetta che ciascuna si realizzi e si consumi
con il suo potere di parola
e il suo potere di silenzio.
Non forzare la poesia a staccarsi dal limbo.
Non raccogliere per terra la poesia che si é persa.
Non adulare la poesia. Accettala
come essa accetterà la sua forma definitiva e concentrata
nello spazio.
Vieni più vicino e contempla le parole.
Ciascuna
ha mille aspetti segreti sotto l’aspetto neutro
e ti chiede, senza interesse per la risposta,
povera o terribile, che le darai:
Hai portato la chiave?
Osserva:
disertate da melodia e concetto
si rifugiarono nella notte, le parole.
Ancora umide e impregnate di sonno,
rotolano in un fiume difficile e diventano disprezzo.
RESIDUO
Di tutto é rimasto un poco.
Della mia paura. Della tua ripugnanza.
Delle grida balbettanti. Della rosa
é rimasto un poco.
É rimasto un poco di luce
colta nel cappello.
Negli occhi del ruffiano
di tenerezza é rimasto un poco
(molto poco).
Poco é rimasto di questa polvere
di cui si é coperta la tua scarpa
bianca. Sono rimasti
pochi indumenti, pochi veli strappati
poco, poco, molto poco.
Ma di tutto rimane un poco.
Del ponte bombardato
di due fili d’erba
del pacchetto
— vuoto — di sigarette, é rimasto un poco.
Ché di tutto rimane un poco.
Rimane un poco del tuo mento
nel mento di tua figlia.
Del tuo aspro silenzio
un poco é rimasto, un poco
sui muri irritati,
sulle foglie, mute, che salgono.
É rimasto un poco di tutto
nelle sottocoppe di porcellana,
dragone franto, fiore bianco,
é rimasto un poco
di ruga sulla vostra fronte,
ritratto.
Se di tutto rimane un poco,
ma perché non resterebbe
un poco di me? nel treno
che porta al nord, nella barca,
negli annunci di giornale,
un poco di me a Londra
un poco di me altrove?
nella consonante?
nel pozzo?
Rimane un poco che oscilla
alla foce dei fiumi
e i pesci non lo evitano,
un poco; non si trova nei libri.
Di tutto rimane un poco.
Non molto: da un rubinetto
cade questa goccia assurda,
metà sale e metà alcol,
salta questa zampa di rana,
questo vetro di orologio
franto in mille speranze,
questo collo di cigno,
questo segreto d’infanzia…
Di tutto é rimasto un poco:
di me; di te; di Abelardo.
Capello sulla mia manica,
di tutto é rimasto un poco;
vento nelle mie orecchie,
rutto sempliciotto, gemito
di viscere non rassegnate,
e artefatti minuscoli:
campana di vetro, alveolo, capsula
di revolver… di aspirina.
Di tutto é rimasto un poco.
E di tutto rimane un poco.
Oh apri i flaconi di lozione
e soffoca
l’insopportabile cattivo odore della memoria.
Ma di tutto, terribile, rimane un poco,
e sotto le onde ritmate
e sotto le nuvole e i venti
e sotto i ponti e sotto le gallerie
e sotto le fiamme e sotto il sarcasmo
e sotto il catarro e sotto il vomito
e sotto il singhiozzo, il carcere, il dimenticato
e sotto gli spettacoli e sotto la morte di scarlatto
e sotto le biblioteche, gli ospizî, le chiese trionfanti
e sotto te stesso e sotto i tuoi piedi già duri
e sotto i cardini della famiglia e della classe
rimane sempre un poco di tutto.
A volte un bottone. A volte un ratto.